Le grandi emozioni che la caccia ai tordi da capanno sa regalarmi
Era una mattina di novembre di 10 anni fa, la ricordo come se fosse ieri. Il cielo grigio, tipico dell’autunno inoltrato; l’aria frizzante alla quale non si è ancora abituati, sfiora gli alberi che iniziano a spogliarsi; a terra le foglie fanno da tappeto ai tronchi delle noci e dei gelsi delle piante di buttata. Eravamo scesi presto io e il papà quella mattina, perché, come sempre, l’attesa rende magica ogni battuta di caccia.
Il tempo vola quando si vive la propria passione, sono ormai le 10:00 passate e il babbo con la solita battuta mi invita ad andare a casa: “vecio tirom zö e ndom a ca!!” (recuperiamo le gabbie e andiamo a casa). Nonostante le grandi aspettative, fino a quel momento non era stata sicuramente una mattinata da ricordare, il carniere infatti conta 5 sasselli e una cesena. Dopo aver sistemato in macchina le prime gabbie il “Riccio” (soprannome da sempre di mio padre) mi dice: “Net ensó te a to le spie” (vai a prendere le spie?) e io accenno un gesto col pollice e confermo.
Le gabbie che utilizziamo come spia, sono richiami che posizioniamo lontano dal capanno sulla traiettoria della migrazione. Sono i primi ad invitare i fratelli ‘selvatici’ sulle piante di buttata. Arrivo alle spie distanti circa 150 mt dal capanno e, mentre aggancio la prima gabbia, mi rendo conto che, nonostante fosse agganciata alla ‘forcella’, la ‘spinardina’ (tordo sassello femmina) non smette.
La sorpresa inaspettata! Dei sasselli indimenticabili
Uno ‘sssssssss‘ dietro l’altro, quasi volesse avvertirmi, muove la testa a destra e a sinistra in continuazione e saltella dentro la gabbia. Avevo sicuramente poca esperienza allora e, inizialmente, temevo l’arrivo di un rapace ma, guardando verso l’alto, mi resi conto che stava arrivando qualcosa di ‘buono’. Il tempo di rimettere la gabbia sul chiodo, e mi passano sulla testa 3 sasselli (6 ali rosse) col becco rivolto al secco sopra le piante di buttata.
Ormai il “Riccio” aveva praticamente finito di sistemare le gabbie, ne mancava solo uno, “El nömer des” (il numero dieci) posizionato sull’ultima robinia ai confini dell’appostamento. Era rimasto il solo appeso e da lontano quasi non si vedeva, ma la sua voce riempiva maestosamente l’intero appostamento.
Continuo a seguire con lo sguardo i tre folletti rossi senza muovere un muscolo, dopo aver riappeso la gabbia mi chino e rimango in ginocchio. La meravigliosa scena che i miei occhi hanno la fortuna di vedere rimarrà per sempre impressa nei miei ricordi.
Il babbo a testa bassa, quasi cercasse monete in terra, che rientra nel capanno e 3 sasselli sul secco rivolti verso il capanno! Il 10 cantava come un matto a voce alta mentre il babbo centrava uno dei tre turdidi.
Gli altri due si allontanano a 100 mt forse dall’appostamento, alla 2º o 3º primavera di seguito sembrano quasi costretti a tornare sul secco da come muovono le ali. I sasselli a terra ora sono due; il ‘Riccio’ non sbaglia davvero mai! Il terzo credo abbia fatto almeno 15 giri sopra le piante di buttata, per poi finire a posarsi sul secco vicino al 10 che continuava a cantare senza alcuna interruzione…ultimo e decisivo boom del vecchio calibro 20, ben guidato dal babbo!!! È stata proprio una mattina di quelle che ti fanno pensare: “vale il prezzo della licenza!!”
Beh, cosa dirti Riccio? Grazie per questa mattina che racconterò a mio figlio, magari un giorno di novembre e magari al capanno.
Ma soprattutto grazie per la grande passione trasmessa, per le mille storie raccontate, per i mille trucchi insegnati! Con la speranza che anche il mio piccolo Mattia possa apprendere presto da te, tanto di tradizione e cultura venatoria quanto di vita, educazione e semplicità, come hai trasmesso a me, grazie, grazie e ancora grazie papà !!!